A cura di Lorenzo Grassi
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Giovedì 8 giugno 1944, sulla spianata del parco di Villa Ada dove attualmente si trova il piccolo lago superiore, tra le palme e i pini fu schierato il Battaglione d’onore della 3ª Divisione di fanteria americana. A passarlo in rassegna furono i due protagonisti rivali della presa di Roma, avvenuta solo quattro giorni prima: il generale inglese Harold Alexander, Comandante in capo delle forze Alleate in Italia, e il generale americano Mark Clark, Comandante della Quinta Armata (che per primo nel rush finale aveva calcato le strade della Capitale).
Scopo dello scenografico evento, non a caso celebrato nell’ex dimora dei Savoia abbandonata in fretta e furia dopo l’8 settembre 1943 da Re Vittorio Emanuele III, fu la distribuzione di decorazioni ai soldati che si erano distinti nei duri combattimenti per raggiungere Roma. In particolare quelli della V Armata Usa.
Tra le onorificenze spiccarono però quelle di altissimo livello – i riconoscimenti cavallereschi britannici del “Most Honourable Order of the Bath” – appuntate da Alexander sulle divise del generale Geoffrey F. Keyes, Comandante del Secondo Corpo americano, e del generale Alphonse Juin, Comandante di quel Corpo francese che era giunto nella Capitale lasciando dietro di sé, insieme a decisive e cruente vittorie, anche una lunga scia di violenze sulla popolazione.
Di questa imponente e poco conosciuta parata di generali Alleati che si svolse nel parco romano, ho rinvenuto negli archivi le cronache giornalistiche d’epoca, alcune fotografie e un filmato che mostra il passaggio in rassegna delle truppe e il discorso del generale Alexander. Due particolari richiamano il clima del momento: da una parte Alexander che giudica Roma un obiettivo “scarso” dal punto di vista militare, perchè quello vero era l’annientamento delle armate tedesche (strategia dalla quale però il collega Clark aveva deliberatamente e indebitamente derogato, con una scelta che ha fatto discutere a lungo, per puntare dritto su Roma e fregiarsi del titolo di liberatore); dall’altra il curioso “sgambetto” del Corriere di Roma – giornale pubblicato dagli Alleati – che pur essendo la cerimonia di Villa Ada condotta da Alexander, titolava: “Un discorso di Clark a soldati decorati della V Armata”.
Questi i testi dei due articoli che riferirono della cerimonia
“Chicago Tribune” del 9 giugno 1944
Medaglie appuntate sulle divise di 54 soldati americani
che si sono distinti nella “Campagna di Roma”
Nel parco reale vicino Villa Savoia, dove ha vissuto il Re Vittorio Emanuele, 54 soldati americani che hanno preso parte alla “Campagna d’Italia” hanno ricevuto ieri dei riconoscimenti dal generale britannico Harold Alexander e dal generale Mark W. Clark, Comandante della Quinta Armata americana. Alexander ha consegnato l’onorificenza cavalleresca britannica del “Most Honourable Order of the Bath” al generale Geoffrey F. Keyes, Comandante del Secondo Corpo americano e al generale Alphonse Juin del Corpo francese. Tra gli altri ricoscimenti conferita: la “Distinguished Service Cross” al caporale di Fanteria Marvin B. Lindley di Orleans (Indiana) e al fante Andrew J. Mileham di Lincoln (Illinois); la “Distinguished Flying Cross” al capitano pilota Jack L. Marinelli di Ottumwa (Iowa) e la Legione al Merito al chirurgo della Quinta armata Joseph I. Martin di Rockford (Illinois), al sergente tecnico del Genio Earl M. Ratzer di Chicago (Illinois) e al sergente maggiore Clarence Neilson di Madison (Wisconsin).
“Corriere di Roma” del 9 giugno 1944
Un discorso di Clark a soldati decorati della V Armata
Ha avuto luogo una cerimonia durante la quale il generale Alexander ha conferito delle decorazioni a 48 ufficiali francesi ed americani nonché a vari sottufficiali e soldati. In tale occasione ha rivolto ai presenti le seguenti parole: “Prima di adempiere al gradito dovere di conferire le decorazioni all’ordine del Bagno desidero dirvi che la presente battaglia la cui prima fase ha ora avuto termine, costituisce un magnifico successo ed è soltanto un principio di ulteriori successi. Noi stiamo compiendo ciò che costituisce la nostra impresa: distruggere le armate tedesche. Noi siamo passati con successo attraverso le linee Gustav, Hitler e Velletri Valmontone. Un altro aspetto della nostra campagna che ebbe inizio l’11 giugno è costituito dal suo perfetto inquadrarsi con l’invasione da occidente. I suoi tempi sono perfettamente scelti e la caduta di Roma – sebbene non sia di grande importanza strategica – ha un effetto morale molto importante. Questo costituisce un nostro dono ai nostri fratelli in armi in occidente prima della grande invasione”. Il generale Clark a sua volta ha ringraziato gli ufficiali e la truppa per il loro coraggio e per la tenacia da essi mostrata nell’avanzata su Roma. Egli ha inoltre aggiunto: “Questi giorni sono stati gloriosi per la V Armata e con l’aiuto di Dio continueremo la serie dei nostri successi”.
Questo il testo del servizio video dei British Pathé
Con il generale Mark Clark, il generale Alexander ha passato in rassegna alcuni degli uomini che si sono fatti strada combattendo in quello che un tempo era il potente triangolo dell’Asse. Gli eventi sul fronte occidentale oscurano la nostra grande vittoria nel Sud dell’Europa, ma ciò nonostante è un grande passo per arrivare alla vittoria. Il generale Alexander ha elogiato l’impresa ottenuta dai suoi uomini.
E questo il testo del discorso del generale Alexander
Questa battaglia, di cui è terminata la prima fase, è stata un magnifico successo. Come dicono i francesi: “Une belle victoire”. Ma è soltanto l’inizio di ulteriori grandi successi futuri. La conquista di Roma naturalmente è già in sè un grande avvenimento, è innegabile: ha un valore morale, un grande valore politico. Ma come obiettivo militare ha scarsa importanza. Ciò che è davvero importante è il fatto che stiamo attuando l’obiettivo che ci eravamo dati: distruggere sul campo le Armate tedesche. E già ci siamo impegnati molto per realizzarlo. In questo momento, come voi sapete, come io so, il nemico è in stato di confusione, avendo subìto pesanti perdite: i prigionieri sono oltre 20.000 e ci sono 8.000 tedeschi feriti ricoverati attualmente a Roma. Molti di più giacciono morti sui campi di battaglia. Il nemico ha avuto perdite pesanti, è disorganizzato. E lo stiamo inseguendo. Avevamo sperato di presentarci loro, prima del lancio dell’invasione in occidente, con una grande vittoria e ci siamo riusciti perfettamente. Li abbiamo messi di fronte al fatto che abbiamo spezzato e superato le loro forti linee difensive – la Linea Gustav, la Linea Hitler e anche l’ultima, la terza linea messa a difesa di Roma – abbiamo sconfitto l’esercito tedesco e preso Roma. Questo è il regalo per i nostri fratelli sul fronte occidentale, giusto prima che si imbarcassero nella spedizione attraverso il canale.
I precedenti nel parco di Villa Ada
Ma la villa sulla Salaria non era nuova al passaggio di protagonisti della Seconda guerra mondiale. Nel pomeriggio del 25 luglio 1943, davanti alla Palazzina Reale di Villa Savoia, era scattato l’arresto di Benito Mussolini dopo il colloquio con il Re seguito alla sfiducia del Gran Consiglio, che aveva segnato la fine del fascismo.
Poco più di cinque anni prima, nel maggio del 1938, nei boschi del parco di Villa Ada aveva fatto una passeggiata anche il dittatore tedesco Adolf Hitler, ospite a Villa Polissena della principessa Mafalda di Savoia e del marito Filippo d’Assia in occasione della sua visita a Roma.
Il campo degli Alleati e i gioielli della Regina
Tornando agli Alleati, dopo la parata dell’8 giugno 1944 resteranno a lungo nel parco di Villa Ada dove sarà installato un vero e proprio campo militare. Ne ha fatto cenno Enrico d’Assia nel suo libro “Il lampadario di cristallo“, in un curioso racconto intitolato: “Il tesoro di Villa Ada“.
“Dati i tempi mia madre (la principessa Mafalda) aveva ritirato i suoi gioielli dalla banca e aveva deciso di sotterrarli contando sull’aiuto di mio fratello Maurizio – venuto in licenza da Kassel – che, scavando trincee, s’era impratichito nell’uso del badile. Per mettere in atto il progetto – spiega Enrico d’Assia – si scelse una domenica nella speranza di evitare sguardi indiscreti. In una grande scatola di latta per biscotti sistemammo due diademi; uno era quello in brillanti, splendido, che mia madre aveva portato il giorno del matrimonio, con le spighe di grano incrociate; l’altro di fattura più moderna, con pietre intercambiabili. E poi braccialetti, broches, anelli. Il caldo di quella giornata era insopportabile; per giunta avevamo scelto le tre del pomeriggio per uscire inosservati dal cancello di Villa Polissena e inoltrarci nel parco di Villa Savoia alla ricerca del luogo adatto. Un boschetto di lecci su un pendio a ridosso delle mura di Villa Polissena ci parve il punto ideale, facilmente riconoscibile in futuro. Il terreno era durissimo – prosegue il racconto – e Maurizio faticò non poco a scavare, mentre io facevo un disegno del luogo prendendo gli alberi come punto di riferimento. Mammà era seduta a terra e ci osservava con un’espressione di grande pena e tristezza. Intorno a noi, le cicale erano più allegre e rumorose che mai. Fu fatta una copia della mappa, che consegnammo alla regina, l’unica persona a essere messa al corrente del segreto”.
“L’anno dopo arrivarono a Roma gli americani e proprio in quella valletta dove si trovava il bosco di lecci i soldati stabilirono un campo e per far posto a tende e baracche tagliarono tutti gli alberi. Appena tornata la pace, la regina mandò da Napoli il suo segretario privato, Dino Olivieri, per provvedere al recupero del tesoro nascosto. Lui stesso – sottolinea Enrico d’Assia nel suo libro – mi raccontò del suo scoraggiamento nel trovarsi davanti, invece del boschetto di lecci, uno squallido prato sporco dove i punti di riferimento da me diligentemente segnati non esistevano più. Decise allora di far scavare lungo tutta la collina, dall’alto in basso. Un lavoro di parecchi giorni che diede risultati negativi. Il povero Olivieri stava per sospendere le ricerche quando diede un ultimo sguardo al luogo dove gli americani avevano a loro volta scavato la fossa delle latrine. Senza esserne del tutto sicuro, ebbe l’impressione di veder luccicare del metallo, sulla parete all’interno della fossa. Richiamò gli operai che si stavano già avviando verso casa e mostrò loro la sua scoperta. Quel bagliore si rivelò in effetti un lato della scatola di biscotti tanto preziosa. La pala del soldato incaricato di scavare le latrine l’aveva sfiorata senza notarla”.