Storia

Il rifugio di piazza Dante

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Oltre un milione di euro per far rinascere il rifugio antiaereo nascosto sotto i giardini di piazza Dante, uno dei più grandi ricoveri pubblici realizzati a Roma durante la Seconda guerra mondiale per proteggere la popolazione dai bombardamenti degli Alleati: aveva una capienza di 2.000 persone ed era dotato di un posto di soccorso. Era stato pensato per accogliere sia i residenti dell’Esquilino che le centinaia di dipendenti del grande e sovrastante edificio delle Poste, di recente trasformato in avveniristica sede dei servizi segreti italiani (che in un primo tempo avevano provato ad accaparrarsi anche i sotterranei, scoprendo poi che era impossibile trasformarli in garage).

Uno degli ingressi del rifugio antiaereo di piazza Dante.

A decidere il maxi stanziamento per l’importante intervento conservativo e di recupero di questa “vestigia bellica” è stata la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, che già nell’agosto del 2021 aveva chiesto e ottenuto la dichiarazione di interesse culturale per l’ex rifugio di piazza Dante, con l’apposizione del vincolo ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Questo sito bellico aveva destato l’interesse dell’allora ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ci era sceso per un veloce sopralluogo.

Le rampe di discesa per l’accesso al rifugio di piazza Dante.

Ora nella delibera con la Programmazione 2023-2025, firmata dalla Soprintendente Daniela Porro, sono stati stanziati per il «restauro, risanamento conservativo e valorizzazione» del ricovero – sotto la cura dall’architetto Alessandra Centroni1,1 milioni di euro (500 mila per il 2023 e 300 mila sia nel 2024 che nel 2025). Quello di piazza Dante – che dal dicembre 1940 fu ridenominata piazza Leonardo da Vinci, perchè al “sommo poeta” si voleva intitolare un viale del nascente quartiere Esposizione – era parte della rete dei 363 ricoveri antiaerei pubblici, per una capienza complessiva di 270 mila posti, realizzati dal Governatorato di Roma dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940.

Il rendering della planimetria del rifugio di piazza Dante.

Erano stati attrezzati alla bell’e meglio, con puntellature di scantinati, e i romani – che poi ne pagarono le conseguenze morendoci dentro – denunciavano sperperi e truffe. Il ricovero di piazza Dante fu invece costruito a regola d’arte, con una possente corazza di cemento. Con il passare dei decenni si è perso nel ricordo e ora il suo recupero farà compiere un viaggio nel tempo, tenendo viva la memoria delle sofferenze patite dalla popolazione durante la guerra e l’occupazione nazifascista. Purtroppo, proprio per le sue caratteristiche costruttive, non potrà ospitare un vero e proprio museo: le moderne norme di sicurezza contrastano con spazi pensati in origine per essere ben isolati. Ma sarà comunque visitabile. E in via preliminare c’è un bel problema da fronteggiare: l’assalto dei topi che circolano a frotte, attratti da sempre dal vicino mercato di piazza Vittorio.

Articolo sul rifugio di piazza Dante pubblicato dal quotidiano Metro.

La tipologia dei ricoveri “pubblici” era destinata a garantire la salvezza di chi al momento del bombardamento si fosse trovato per strada, lontano da casa (dove avrebbero dovuto esserci i ricoveri “casalinghi” o di “caseggiato”) e dal posto di lavoro (dove erano stati previsti i ricoveri “collettivi”). Ma la realizzazione delle strutture di protezione antiaerea per i civili scontò ritardi e disorganizzazioni, oltre alla carenza di materiale. Così ancora nel dicembre 1942 Mussolini, nel suo discorso alla Camera, invitava a svuotare le città come unica vera soluzione, perchè con lo “sfollamento” sarebbe stato «più facile fare in misura sufficiente dei ricoveri più resistenti di quello che già non siano gli attuali, per i quali abbiamo speso centinaia e centinaia di milioni, e che, se colpiti in pieno, non possono resistere alle bombe dei massimi calibri». La Polizia politica, incaricata di raccogliere “echi e commenti” a quel discorso, annotò che veniva giudicata «una enormità» l’affermazione della spesa di centinaia di milioni di lire: «È mai possibile – era la domanda popolare che veniva riferita – che lo Stato abbia speso per quei quattro sacchetti di terra o sabbia e per alcune tavole di legno centinaia di milioni? È palese – e purtroppo oggi svelata – la truffa colossale compiuta dagli organi preposti a tali primitive sistemazioni», erano le conclusioni.

Lo scavo dei tunnel della metropolitana nella zona del Colosseo.

Tra i ricoveri pubblici furono inserite infatti anche localizzazioni “fantasiose”: dal Mitreo del Circo Massimo alle grotte della Rupe Tarpea sotto il Campidoglio, da Castel Sant’Angelo al Traforo del Quirinale, sino agli archi del Colosseo, alle Catacombe e alle cave. Si aggiungevano i sottoscala e gli scantinati di quasi tutte le scuole romane; mentre il ricovero potenzialmente più affollato – che ci riporta tristemente all’attualità delle città ucraine sotto la pioggia di missili russi – erano i tunnel della tratta di linea metropolitana all’epoca ancora in costruzione tra la Stazione Termini e il Circo Massimo (con un’offerta potenziale di diverse migliaia di posti). Una rara eccezione positiva era il ricovero nella centralissima piazza Dante.