Storia

Il bunker della Sapienza

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Nel cuore della prima Università romana, sotto l’imponente palazzo monumentale del Rettorato, si cela un luogo di storia sorprendente, che riposa nell’oblio a pochi metri dal quotidiano via vai di migliaia di studenti: è il bunker della Sapienza. A mettermi sulle sue tracce è stato un vecchio articolo che raccontava di una precipitosa fuga il 19 luglio del 1943, mentre le bombe degli Alleati che cadevano per la prima volta su Roma colpivano anche diversi edifici della Città Universitaria (tra questi in particolare quelli che ospitavano le Facoltà di Botanica, Mineralogia, Chimica e Fisiologia generale). Il testimone faceva riferimento ad un rifugio presente sotto l’Aula Magna dello “Studium Urbis” (nome originario della Sapienza).

Ecco il video sul bunker della Sapienza realizzato da Storia & Storie
[ Si ringrazia per la collaborazione Christian Benenati ]

Una ricerca tra i documenti dell’Archivio Storico della Sapienza, grazie alla collaborazione della responsabile Carla Onesti, mi ha permesso di ritrovare e consultare le planimetrie e i disegni originali del 1939 con i dati tecnici del ricovero antiaereo. Infine un sopralluogo nei labirintici sotterranei del Palazzo del Rettorato, compiuto insieme ai responsabili dell’Area tecnica dell’Ateneo, ci ha portati all’individuazione dei locali blindati ancora integri (seppure purtroppo ormai privi degli arredi e delle dotazioni tecnologiche originali).

    
Una veduta della Città Universitaria nel 1938 e la planimetria del ricovero.

Il ricovero antiaereo fu realizzato tra la fine del 1939 e l’inizio del 1940 sul lato sinistro del piano seminterrato del Palazzo del Rettorato, con la costruzione di una struttura scatolare in cemento armato indipendente dal corpo dell’edificio, rinforzata superiormente con una piastra-solettone e isolata da un’intercapedine perimetrale. Il ricovero aveva due accessi e un’uscita di sicurezza (non più esistente), era poi dotato di protezione antigas con un sofisticato sistema di filtraggio e rigenerazione dell’aria (compresa una “bicicletta” per garantire la circolazione anche in caso di black-out). Era stato pensato per una capienza di circa un centinaio di posti, in pratica il solo staff direzionale dell’Ateneo presente nel Palazzo del Rettorato (perché quasi tutte le singole Facoltà avevano propri seminterrati resistenti e capienti, utilizzabili come locali anticrollo).

  
La ricostruzione virtuale tridimensionale della struttura rinforzata del ricovero.

Le due sale del ricovero del Rettorato dedicate ad accogliere le persone hanno una superficie di 34,26 metri quadrati (71,946 metri cubi); mentre l’intera struttura ha una superficie di 52,30 metri quadrati (con un volume di 109,830 metri cubi). L’appalto dei lavori fu affidato all’impresa dell’ingegnere Guglielmo Mazza e il costo di realizzazione – comprese le porte blindate e gli impianti antigas di filtraggio dell’aria – era preventivato in 101.000 lire (equivalenti oggi a quasi 171 milioni di lire, ovvero oltre 88 mila euro). A dare l’ok alla costruzione – nella seduta del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo del 24 ottobre 1939 – fu il Rettore Pietro De Francisci, alla guida della Sapienza dal 1935 al 1943.

   
Lo stato attuale del ricovero con le scaffalature di un archivio amministrativo.

Attualmente i locali del ricovero sono ricoperti dalle scaffalature metalliche di un archivio amministrativo, ma nel recente passato – durante gli anni Ottanta e Novanta – quegli ambienti sono stati curiosamente utilizzati anche come sede di un club studentesco (con rivestimento in moquette). Dopo il ritrovamento del bunker ho proposto ai vertici della Sapienza di avviare un percorso di liberazione e recupero della struttura che possa consentire in un prossimo futuro di rendere fruibile agli universitari e a tutti i romani questo importante patrimonio della memoria bellica dell’Ateneo e della Capitale.

   
I luoghi colpiti dalle bombe il 19 luglio 1943 e l’articolo con la testimonianza.

Come approfondimento riporto il testo dell’articolo scritto da un revisore di bozze che lavorava nello stabilimento rotocalcografico (Tumminelli) allora esistente nella Città Universitaria. È relativo al 19 luglio 1943, quando avvenne il primo bombardamento degli Alleati su Roma e in particolare su San Lorenzo.

A corsa pazza verso il rifugio

Fu verso le undici che suonò l’allarme. Di solito, quando avveniva ciò, il personale dello stabilimento persuaso, come del resto erano persuasi quasi tutti i romani, che Roma, città aperta, non avesse mai a subire l’offesa di un bombardamento aereo, al lugubre avvertimento delle sirene se la prendeva comoda per raggiungere il rifugio situato sotto l’Aula Magna dello “Studium Urbis”. Anche quel giorno, perciò, tra l’allarme e l’uscita dal luogo di lavoro passò qualche minuto. Avevo appena varcato il cancello di uscita interno quando, sollevati gli occhi al cielo, vidi giungere dalla parte di piazza Bologna, una serrata formazione di lucenti apparecchi. Ebbi, lì per lì l’impressione che gli aerei fossero italiani o tedeschi. Ben presto dovetti ricredermi. Sotto i sinistri colpi delle mitragliere di bordo, seppure a mille metri di altezza, tramutai, come d’incanto, in corsa precipitosa, la mia andatura dinoccolata. Mi ritrovai con altri colleghi davanti alle basse finestre della Facoltà di Politica Coloniale che immettevano nello scantinato. Rapidamente i primi a raggiungerlo dettero l’esempio: arrampicatisi sui davanzali si precipitarono nell’interno da un’altezza di due o tre metri.

Anch’io m’inerpicai su un davanzale ma, nel momento di compiere la funambolesca impresa, la prima potente bomba – che distrusse in parte il vicino edificio della Facoltà di Fisiologia Umana – cadde 50-60 metri dietro di me. Lo spostamento d’aria determinatosi mi proiettò dal davanzale nello interno dello scantinato. Mi svegliai qualche tempo dopo nel capace rifugio della Città Universitaria, pesto e sanguinante. I compagni di lavoro più fortunati di me nel salto nel buio, mi avevano trasportato attraverso i meandri sotterranei dell’edificio. Vi passai due interminabili ore. Fuori, a ondate successive, gli apparecchi seminavano la morte. Il quartiere di San Lorenzo e l’attiguo cimitero venivano duramente colpiti. Il cupo boato degli scoppi si ripercuoteva sinistramente nel rifugio, le pareti tremavano. Arrivavano, ogni tanto, le prime desolanti notizie: “San Lorenzo è distrutto… Centinaia di morti… Roma sarà “coventrizzata”. Nei brevi intervalli tra un’ondata e l’altra qualche milite dell’UNPA usciva per scrutare il cielo. Il segnale del cessato allarme ci liberò finalmente dall’incubo. Uscimmo fuori. Qualcuno aveva pensato di chiamare un’auto-ambulanza; essa arrivò e vi furono caricati i feriti.

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