A cura di Lorenzo Grassi
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Il braccio teso nel saluto romano, fuori dal finestrino, forzatamente e velocemente ritratto per evitare di sbatterlo sulle pareti con l’ingresso del treno in galleria. Con questo curioso fuori programma giovedì 27 ottobre 1932, alla vigilia del primo “decennale della Rivoluzione” e della “Marcia su Roma” del 28 ottobre 1922, Benito Mussolini inaugurava la nuova ferrovia a scartamento ordinario e trazione elettrica gestita dalla Società Romana per le Ferrovie del Nord (costituita nel 1921) per il collegamento tra Roma e Viterbo, via Civita Castellana, in sostituzione della precedente e insufficiente tramvia. Il tracciato del treno, progettato con lungimiranza dall’ingegnere Ernesto Besenzanica, era stato fatto arrivare sino al centrale capolinea della stazione sotterranea Flaminia grazie allo scavo a forza d’uomo di una galleria lunga oltre 2 km al di sotto del quartiere Parioli (dove, in seguito, sarà realizzata anche la stazione Euclide) e grazie alla costruzione di un moderno ponte in cemento armato per il superamento del Tevere dopo l’Acqua Acetosa. Nel 1969 l’intero pacchetto azionario della Società Romana per le Ferrovie del Nord verrà acquisito dalla Stefer, poi nel 1976 la linea per Civita Castellana e Viterbo passerà al consorzio Acotral, in tempi più recenti ad Atac-Metro e infine, dallo scorso luglio, ad Astral-Cotral. Ad unire in un continuum tutte queste diverse gestioni, il malcontento degli utenti e dei pendolari per i troppi disservizi.
Ma torniamo indietro a quei giorni di novanta anni fa, per raccontare la complessa costruzione e la pomposa inaugurazione di un’opera che fu completata a tempi da record – poco meno di un anno e “con utilizzo di soli materiali nazionali” – con l’impiego di 4.500 operai e un costo per l’intera linea, compreso il tronco di penetrazione, di circa 75 milioni (equivalenti a 78,2 milioni di euro attuali) più altri 13 per il materiale rotabile e d’esercizio. Ma c’è chi parla di una spesa complessiva superiore ai cento milioni di lire. “Per la Ferrovia Roma-Viterbo i costruttori hanno realizzato in poco meno di un anno un lavoro che e per tecnica e per complessità di opere non si sarebbe creduto possibile effettuare in sì breve spazio di tempo – si leggeva sul Messaggero del 28 ottobre 1932 – ed è così che ieri mattina alle otto in punto il treno inaugurale con la vettura salone a bordo della quale era il Duce è partito da Roma ed è giunto in poco più di due ore a Viterbo”.
Questo il filmato dell’inaugurazione nel Giornale Luce del 4 novembre 1932.
“Presso il fabbricato della nuova stazione Flaminia – scriveva ancora Il Messaggero – che sorge sul piazzale omonimo, presso l’entrata di Villa Umberto I, erano ad attendere l’arrivo di Mussolini” una gran folla di autorità: da Ciano a Starace, dal Governatore di Roma Principe Boncompagni Ludovisi ai dirigenti della società esercente la Ferrovia. “Il Capo del Governo giunge in automobile poco prima delle otto accompagnato dal Sottosegretario di Stato all’Interno, on. Arpinati – prosegue la cronaca di quella giornata di novanta anni fa – il Duce che indossa la camicia nera, ossequiato dalle autorità e salutato romanamente dai convenuti, è subito entrato nel salone-vestibolo della nuova stazione. Qui, invece che il solito tradizionale taglio del nastro tricolore, l’inaugurazione è avvenuta col passaggio del Duce attraverso un raggio invisibile (infrarosso), passaggio che, provocando l’interruzione del raggio, ha determinato la chiusura del circuito di alimentazione della luce, in modo che l’atrio e la galleria-stazione si sono illuminati. Prima dell’arrivo del Capo del Governo, i locali erano stati benedetti dal parroco di S. Maria del Popolo, don Carlo Moroni”.
“Il Duce, accompagnato dalle autorità, è subito passato all’interno della galleria-stazione. Sullo sfondo della galleria spicca un grande fascio luminoso sormontato dalla parola Dux – notava il cronista del Messaggero – sul binario di partenza era il treno inaugurale, composto di due automotrici, di una vettura salone per il Duce e di due vetture per gli invitati. Il Capo del Governo, dopo avere percorso tutta la lunghezza del treno che ha esaminato con molto interesse, ha preso posto sulla vettura-salone con le autorità. Il convoglio è partito alle otto precise, mentre il personale della Società Romana per le Ferrovie del Nord, schierato sulla banchina, salutava romanamente ed inchinava i gagliardetti”. Qui l’imprevisto in agguato: “Il Duce è rimasto presso il finestrino col braccio proteso nel saluto romano fino a che la sua vettura ha imboccato la galleria che segue immediatamente la stazione. Dopo questa galleria la linea proseguendo attraversa il Tevere su un ponte appositamente costruito, lungo circa cento metri”.
La descrizione proseguiva con “il treno velocissimo” che “doppia la sottostazione dell’aeroporto del Littorio, poi ecco apparire e scomparire rapida Grottarossa”. Seguono Sacrofano, Riano, Castelnuovo di Porto, Morlupo, Magliano Romano, Rignano, sino alla vista del “solenne, massiccio e dominatore” Monte Soratte. Il treno passa per Sant’Oreste e infine arriva prima a Civita Castellana e poi, dopo un altro bel tratto di percorso e diverse stazioni, a Viterbo distante 102 km da Roma. “Dovunque sono acclamazioni – nota il quotidiano di regime – le buone popolazioni rurali si accalcano nelle loro stazioni ed al treno che passa recando il Duce, inviano il loro saluto possente e sincero alla voce, mentre fiamme e gagliardetti s’inchinano”.
Un approfondimento merita l’impresa della realizzazione del tunnel nel tratto urbano. “Il tronco di penetrazione si può considerare come una vera e propria linea metropolitana – precisava Il Messaggero – in quanto mette in rapida comunicazione l’oltre Tevere al nord di Roma col piazzale Flaminio che è uno dei fulcri delle comunicazioni interne cittadine”. In effetti si può considerare il primo tratto della Roma Nord come la prima metropolitana d’Italia. L’idea era stata infatti espressa con chiarezza dall’ingegnere Besenzanica già in una lettera scritta il 14 febbraio del 1931: “Il tracciato planimetricamente ed altimetricamente si presterebbe per un esercizio assai intenso; questo tronco potrebbe essere esercitato con criteri di metropolitana per i futuri quartieri previsti dal Piano regolatore lungo questa tratta; ciò che sarebbe facilitato perché in tutta questa tratta il tracciato avrebbe andamento assai pianeggiante e sarebbero eliminati gli attraversamenti a raso”.
La costruzione della stazione sotterranea di piazzale Flaminio e quella della galleria sino all’Acqua Acetosa, però, offrirono “specie agli inizi notevoli difficoltà tecniche – sottolineava Il Messaggero – a causa della presenza di abbondante quantità di acqua e gas, per i quali si sono dovuti installare potenti mezzi di prosciugamento ed areazione”.
Un Giornale Luce del 1932 con i “lavori che procedono alacremente”.
I primi lavori per la realizzazione della galleria iniziarono nell’ottobre del 1931 e lo scavo di 110 mila metri cubi di materiali fu effettuato procedendo, oltre che dai due imbocchi esterni, anche da una serie di ben 13 pozzi intermedi, profondi dai 10 ai 35 metri. Tutta la galleria fu completata a colpi di piccone entro il maggio del 1932, dunque la costruzione dei 2.080 metri di tunnel fu eseguita in soli otto mesi. Ma “una delle difficoltà più preoccupanti – rilevavano i cronisti – era rappresentata dal fatto che intersecando l’Acquedotto Vergine in ben due punti la galleria, si rese necessario il suo deviamento”. Fu così realizzata una deviazione di 101 metri dell’antico acquedotto – senza particolari attenzioni al dovuto rispetto per questa importante vestigia romana – tra le progressive della galleria 0+533 e 0+642.
Riguardo le “vistose infiltrazioni nella galleria” – come ricorda Matteo Jarno Santoni nel suo libro dedicato alla ferrovia Roma Nord – ci fu persino un ingegnere che abbandonò il cantiere sostenendo che “non sarebbero usciti vivi dato che l’acqua continuava a percolare dalla volta”. Per eliminarla fu necessario praticare dei fori sul fondo del tunnel. Problemi arrivarono anche dalla “vasta rete di cunicoli esistenti sotto il promontorio di Villa Ruffo, che sono intersecati in vari punti dalla stazione sotterranea, il che ha richiesto importanti opere di consolidamento. Altra opera imponente è stata quella della costruzione del ponte sul Tevere, che è a tre arcate, ha la lunghezza di 130 metri ed è stato interamente costruito in cemento armato”.
In una delle ultime visite di Mussolini al cantiere, gli ingegneri gli fecero notare che c’erano delle preoccupanti infiltrazioni di acqua nel tratto di penetrazione urbana a Roma e chiesero più tempo per risolvere il problema (per altro ancora presente al giorno d’oggi), ma il Duce fu irremovibile sull’indifferibilità del completamento e dell’inaugurazione dell’opera che si sarebbe dovuta tenere tassativamente per l’anniversario del 28 ottobre. L’entrata in servizio dal primo novembre 1932, con biglietto di prima classe sino a Viterbo del costo di 41 lire (pari a 42 euro attuali).