Storia

Il pozzo di Monte Antenne

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Un pozzo sconosciuto di probabile epoca arcaica, profondo oltre dieci metri e perfettamente conservato, nel cuore di Monte Antenne: un sito archeologico di straordinaria importanza, ingiustamente trascurato, che non finisce mai di stupire. Una scoperta tanto eccezionale quanto misteriosa. A compierla in modo fortuito, mentre percorreva in esplorazione lo scosceso versante su viale della Moschea, è stato Andrea Zinno, che cura la pagina Facebook Villa Ada Savoia. Zinno ha notato un’oscura fenditura sotto un masso, simile ad una delle molte tane presenti nel parco, ma quando per curiosità si è avvicinato ha visto che il buio proseguiva.

Per capire cosa vi fosse nascosto ha provato ad illuminare il vuoto con una torcia elettrica, che incredibilmente ha fatto apparire l’imboccatura di un pozzo. Per approfondire le informazioni sulla zona – che esploro da molti anni – mi ha subito coinvolto e insieme abbiamo calato nel pozzo una piccola telecamera, restando a bocca aperta quando abbiamo visto le immagini. Davanti ai nostri occhi si è disvelato uno splendido pozzo di probabile epoca arcaica a pianta rettangolare (con dimensioni 120 x 50 cm), profondo 10,45 metri. Il primo tratto del bordo interno è formato da blocchi di tufo, mentre la prosecuzione è scavata al vivo. Sui lati lunghi sono presenti le rientranze delle “pedarole“, utilizzate dai fossores come appoggi e appigli per poter scendere all’interno in sicurezza.

L’interno del pozzo di probabile epoca arcaica, con i blocchi in tufo.

Il pozzo è sorprendentemente in perfette condizioni, salvo un accumulo di terra sul fondo che può nascondere una prosecuzione, segno che l’imbocco dovrebbe essersi “stappato” in superficie solo da poco tempo per il dilavamento del terreno durante periodi di forti precipitazioni. Ad una prima verifica della documentazione esistente, il pozzo appena scoperto è risultato molto simile ad un altro – sempre a pianta rettangolare – venuto alla luce durante gli scavi effettuati tra il 1986 e il 1987 nel sito di Antemnae dall’archeologa Elisabetta Mangani per conto dall’allora Soprintendenza Speciale al Museo Preistorico Etnografico “Pigorini”. Forma e struttura ricordano anche i pozzi presenti a Cerveteri, in particolare nell’acquedotto etrusco-romano di “Macchia della Signora”. In tal caso il pozzo di Monte Antenne potrebbe essere un’opera risalente a quasi tremila anni fa.

L’interno del pozzo arcaico scoperto a Monte Antenne.

Appena ci siamo resi conto di cosa potevamo avere davanti, dopo aver avvertito la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma e il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, insieme a Zinno ci siamo interrogati sulla funzione di questo inedito pozzo. Quelli a pianta rettangolare erano più complicati da scavare rispetto a quelli rotondi e dunque venivano realizzati solo quando era necessario riportare con precisione l’orientamento dall’esterno all’interno per mantenere la giusta direzione dei cunicoli durante la congiunzione tra un pozzo e l’altro, spesso in opere idrauliche come gli acquedotti al servizio degli abitati.

La parte profonda del probabile pozzo arcaico di Monte Antenne.

Ciò rende difficile comprendere la presenza di un pozzo di tale tipologia su un versante isolato e scosceso di Monte Antenne, in una posizione a quota ben più bassa e quasi agli antipodi rispetto al luogo dove sorgeva l’antica Antemnae. Un versante, quello su viale della Moschea, che solo in tempi moderni ha conosciuto una certa frequentazione: prima con la realizzazione del Campo di tiro a segno inaugurato nei sottostanti “prati” dell’Acqua Acetosa da Re Vittorio Emanuele II il 2 luglio 1871 e poi con la messa a dimora della foresta di Cedri dell’Himalaya durante la prima Festa degli Alberi del 1° aprile 1902 per il Bosco della Regina Elena.

Il cunicolo idrico presente sul tornante di via di Ponte Salario.

In antico, invece, la città preromana di Antemnae – come hanno ben documentato da ultimo Stefania e Lorenzo Quilici nel loro bellissimo libro pubblicato nel 1978 – si trovava sulle sommità più ad Est. Presso quell’abitato sono stati rinvenuti molti pozzi a pianta rotonda (uno dei quali ha rischiato di essere danneggiato durante il recente impianto di nuovi alberi), cisterne per la raccolta dell’acqua piovana in funzione dell’approvvigionamento idrico e una “cloaca” di scarico verso il sottostante fiume Aniene. Va ricordata anche la presenza sul tornante di via di Ponte Salario di un suggestivo cunicolo che si addentra per una ventina di metri nelle viscere del monte. Volendo allargare lo sguardo, poco più ad Ovest sgorga la rinomata fonte dell’Acqua Acetosa; mentre alle pendici dell’altura di Villa Glori, nel versante che affaccia sul Tevere, si apre un altro misterioso cunicolo idraulico.

Il mito della città preromana di Antemnae
dal Ratto delle Sabine al Forte ottocentesco

Monte Antenne, che svetta a Roma Nord sfiorando i 60 metri di quota a ridosso della via Olimpica, non ha nulla a che vedere con tralicci di radio e tv. Il suo nome deriva infatti dal latino “ante amnes”, davanti ai fiumi, poiché domina la confluenza tra Aniene e Tevere. Un’altura strategica sin dagli albori della storia (con tracce di capanne della prima Età del Ferro), ben difesa da ripidi versanti e citata da molti scrittori. Compreso Virgilio, che nell’Eneide la definisce “turrigerae Antemnae”: un oppidum fortificato con mura in blocchi di tufo alte sino a 9 metri. Secondo Tito Livio fu lo scenario del “Ratto delle Sabine” compiuto da Romolo nell’VIII secolo a.C. Il villaggio fu espugnato e colonizzato. Gli abitanti tentarono una nuova rivolta anti-romana insieme ai Tarquini di Porsenna, ma ne uscirono definitivamente sconfitti.

L’antefissa di Giunone Sospita “Lanuvina” e la testa di giovane.

La massima fioritura di Antemnae, ormai roccaforte di Roma, fu tra il VII e il V secolo a.C. almeno a giudicare dalle opere di fortificazione e idrauliche, oltre che dai reperti tra i quali spiccano due pregevoli decorazioni di un luogo di culto: un’antefissa con Giunone Sospita “Lanuvina” e una testa di giovane. Dal III secolo a.C. il villaggio iniziò il suo declino. Dopo un lungo oblio, solo nel 1827 Nibbj e Gell ne riconobbero l’antico sito. Ma un colpo mortale ai resti archeologici fu inferto con la costruzione su Monte Antenne a fine Ottocento di uno dei 15 Forti del Campo Trincerato di Roma, che sconvolse la morfologia con giganteschi scavi e sterri. Infine l’impatto delle strutture del campeggio realizzato per le Olimpiadi del 1960. Poi un lungo abbandono, per un sito che invece meriterebbe ben altre attenzioni.