A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it
“Trattasi di un apparato che pare sia usato con successo dagli inglesi per avvistare a distanza di molte miglia velivoli o navi nemiche con precisione di pochi gradi”. È quanto si legge in una missiva segreta con oggetto “Radio locator” inviata il 7 luglio 1941 dall’Ispettorato dell’Arma del Genio del Ministero della Guerra al Gabinetto dello stesso Ministero, allo Stato Maggiore del Regio Esercito e allo Stato Maggiore per la Difesa del territorio (quest’ultimo, il giorno dopo, la girerà anche all’Ufficio Protezione Antiaerea e Difesa Costa e all’Ufficio Difesa Contraerei). È la prima comunicazione militare italiana relativa al radar, uno strumento che si rivelerà decisivo per i destini della guerra: una straordinaria innovazione tecnologica che trasformerà immediatamente in preistoria l’epoca degli aerofoni.
Marconi rimasto inascoltato
Gli studi italiani per lo sviluppo di un radar basato sulle onde elettromagnetiche erano stati avviati nel 1922 da Guglielmo Marconi. In quell’anno, in particolare, lo scienziato aveva proposto l’idea di un “radiotelemetro” tramite il quale localizzare la distanza di mezzi in movimento. Nel 1933 Marconi aveva proposto di concretizzare questo progetto a un gruppo di militari italiani, tra i quali il Colonnello Luigi Sacco che, convinto della validità dell’idea, l’aveva girata al giovane ingegnere Ugo Tiberio. Quest’ultimo, dopo essersi laureato nel 1927 alla Regia Scuola di Ingegneria di Napoli, aveva pubblicato alcuni scritti sull’elettromagnetismo e, durante il servizio militare, era stato assegnato all’Istituto di Roma delle Comunicazioni Militari.
Dopo il congedo dal Regio Esercito, l’opera di Tiberio venne a conoscenza di Nello Carrara, professore all’Accademia Navale Italiana di Livorno, che ottenne per lui un incarico di Luogotenente per consentirgli di approfondire le ricerche. Ciò portò allo sviluppo tra il 1936 e il 1937 del primo prototipo funzionante di radar navale, l’EC-1 soprannominato “Gufo”. Nonostante il successo ottenuto, che aveva visto la supervisione anche del Capitano di Marina Alfeo Brandimarte, il progetto fu bloccato per mancanza di fondi (sia Tiberio che Carrara dovevano svolgere le docenze e potevano dedicarsi alla ricerca solo nel tempo libero). I vertici della Regia Marina, infatti, avevano dato pochissimo peso alla scoperta del radar.
Il risveglio fu brusco nel 1941, quando la Marina italiana subì una serie di pesanti battute d’arresto nelle azioni notturne contro le unità radar della Regia Marina inglese, che conquistava così il dominio del Mediterraneo. In particolare l’episodio chiave fu quello della Battaglia di Capo Matapan del 28 e 29 marzo 1941 dove oltre 3.000 marinai e ufficiali furono persi in mare senza riuscire a sparare un solo colpo. I primi test pratici dei radar italiani furono condotti a bordo della vecchia torpediniera “Giacinto Carini” nell’aprile 1941 con apparati prodotti dalla Safar.
La Gran Bretagna è avanti
Il 1 luglio 1941 per ordine del Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, viene trasmessa ai Ministeri della Guerra, della Marina e dell’Aeronautica la trascrizione di quanto pubblicato dall’Agenzia “Exchange Telegraph” in data 19 giugno 1941 da Londra: “Il nuovo metodo scientifico per localizzare la presenza di aeroplani, a cui si è riferito ieri il maggiore Attlee, è stato definito radio-localizzatore. Il procedimento consiste in modo generale nell’emissione giorno e notte e con ogni tempo, di onde che esplorando lo spazio ricevono la sensazione dell’avvicinarsi di qualsiasi apparecchio nemico, segnalandolo immediatamente con la stessa velocità della luce. Lord Beaverbrook, riferendosi a questa nuova invenzione ha precisato che la radio prendeva il primo posto nella guerra scientifica moderna ed ha aggiunto essere convinto che la Gran Bretagna arriverà a proteggere con le ali della scienza le moltitudini che popolano le grandi città. Non si può ovviamente divulgare il funzionamento della surriferita invenzione – proseguiva la trascrizione – si dice però che il suo perfezionamento ha costato milioni di sterline, spesa largamente compensata poiché rende necessario un minore servizio di apparecchi di ricognizione. Si dice inoltre che, più che di una nuova invenzione, si tratta dell’applicazione di principi già noti, sui quali sono state fatte delle esperienze nel 1935 a cura dello scienziato Roberto Alessandro Watson (Robert Watson-Watt), che sono state proseguite anche da altri scienziati e da ufficiali interessati”.
“Il risultato dell’invenzione è reale – si leggeva ancora – qualsiasi apparecchio, anche qualsiasi nave che venga a trovarsi sulla direzione del raggio emesso, provoca un segnale immediato. La radio-localizzazione è senza dubbio uno dei più importanti fattori della organizzazione di guerra britannica. Alla domanda se i tedeschi posseggano un mezzo simile, Joubert, nuovo capo del comando costiero, ha risposto che non si hanno prove che la Germania abbia causato perdite agli apparecchi inglesi, servendosi di tale metodo. L’Inghilterra si è servita di questo mezzo sin dalla battaglia sopra il suo territorio nel settembre scorso, ma ora l’invenzione può essere utilizzata in più vasta scala, sperandosi di poter giungere a localizzare tutti gli oggetti nell’oscurità. Il “Times”, sulla stessa questione, scrive: “Il giorno di ieri segna un passo decisivo per la nostra difesa antiaerea”; e aggiunge che l’appello fatto per il reclutamento di migliaia di operai specialisti della “radio” dimostra che la nuova invenzione dalla fase dell’aspettativa è passata in quella della immediata realizzazione pratica”.
Si corre ai ripari
Così, nel luglio 1941, i vertici militari italiani cercavano di recuperare il tempo perso. “Per doverosa informazione – scriveva nella missiva segreta del 7 luglio 1941 il Generale di Divisione ispettore dell’Arma del Genio, Degiani – si segnala che dopo la riunione del Comitato per le Telecomunicazioni avvenuta il 3 corrente, i rappresentanti dei tre Ministeri delle Forze Armate presenti sono stati trattenuti dal Ministro delle Comunicazioni affinchè riferissero quello che era a conoscenza degli organi tecnici e ciò che era già stato fatto in proposito da ogni Forza Armata in merito all’apparato in oggetto”. Seguiva una descrizione sommaria del “Radio locator”: “Trattasi di un apparato che pare sia usato con successo dagli inglesi per avvistare a distanza di molte miglia velivoli o navi nemiche con precisione di pochi gradi; l’apparato è basato sul principio della riflessione delle onde elettromagnetiche, per cui calcolando il tempo impiegato dall’onda nel percorso di andata e ritorno e conoscendone la velocità si deduce facilmente anche la distanza”.
Avvistamenti a più di 8 miglia
“Da intercettazioni effettuate dalla Regia Marina – si leggeva ancora – è risultato che sono stati segnalati dal nemico avvistamenti di navi italiani a distanza superiore a 8 miglia, mentre la visibilità era notevolmente minore. Da notizie pervenute dall’America pare che gli apparati inglesi impieghino onde di 10 cm. per le quali occorrono tubi speciali che ancora non è stato possibile riprodurre in Italia. La Regia Marina e a Regia Aeronautica, particolarmente interessate alla cosa, hanno già da tempo messo allo studio apparati del genere e sono sulla strada della loro realizzazione. L’Ecc. Host-Venturi ha pregato i rappresentanti di detti Ministeri di proseguire i lavori di comune accordo per raggiungere al più presto lo scopo. Sembra infine che anche le Forze Armate germaniche siano già provviste di apparati del genere già usati sulla Manica ed in Sicilia, ma che non sia stato possibile avere su di essi notizie precise e tanto meno averne dei campioni. Si è ritenuto di segnalare l’argomento per l’interesse che esso può avere per la difesa territoriale”.
Le esperienze italiane
Il successivo 13 agosto 1941 veniva fatto il punto della situazione con una lettera inviata dall’Ispettorato Superiore tecnico del Ministero della Guerra al Comando Supremo S.I.M. e al Gabinetto dello stesso Ministero. Nella lettera – che ha come oggetto “Radio locator (radiotelemetro)” – si faceva riferimento alle informazioni apprese da Londra ad inizio luglio e si riportava “quanto è stato fatto in Italia nello stesso campo” (con notizie desunte dalla Direzione Superiore S.S.E.G. e presso gli uffici competenti della Regia Marina e della Regia Aeronautica).
“1) Presso l’Istituto Elettrotecnico delle Comunicazioni della Regia Marina (RIEC) sono in corso da cinque anni gli studi relativi alla radiotelemetria. I risultati degli studi e delle esperienze si sono concentrati in due tipi di radiotelemetri: a) Tipo navale E.C.3 che impiega onde di 70 cm. circa, con una potenza (istantanea) di 70 W circa; b) Tipo costiero di grande potenza che impiega onde di circa 150 cm. con una potenza (istantanea) dell’ordine di 1 kW. Il tipo navale ha già raggiunto la fase della pratica attuazione. La sua portata su bersagli navali è di 7/8 km. Il tipo costiero è ancora in fase sperimentale. Si prevede di raggiungere con esso le massime portate previste dalla teoria della radiotelemetria, cioè portate di 25/30 km in esplorazione navale anche su bersagli di piccole dimensioni. Tali portate saranno ovviamente molto superiori in caso di bersagli aerei. Non risulta però che siano state effettuate esperienze in proposito. In tutti i tipi di radiotelemetri si prevede un minimo di portata. Questo minimo è dell’ordine di grandezza di circa 1 km. Attualmente è in corso la sistemazione di radiotelemetri E.C.3 su alcune navi. Anche la Marina germanica ha realizzato apparati del genere il cui principio è sostanzialmente coincidente con quello delle realizzazioni italiane. Il tipo di radiotelemetro (DETE) impiegato dai tedeschi ha una portata di circa 25 km su bersagli navali. È prevista la sistemazione di uno di tali telemetri sopra unità navali della Marina italiana”.
Gli “occhi di legno” tedeschi
“2) Anche presso la Regia Aeronautica sono in corso studi per la realizzazione di apparati basati sullo stesso principio di funzionamento – proseguiva la lettera – ma specialmente adatti per l’impiego in aviazione. Sull’esito di detti studi non si hanno ancora notizie precise. Circa gli apparati impiegati dal Corpo Aereo Tedesco durante la permanenza in Sicilia, si hanno i seguenti particolari: trattasi di apparati tuttora in fase di esperimento e pertanto considerati, a detta dei tecnici tedeschi, non ancora “maturi per l’impiego”. Essi vengono denominati “Holz Augen” (occhi di legno) e il loro funzionamento è analogo a quello degli apparati ad emissione di impulsi, notoriamente adoperati per le misure ionosferiche e per la ricerca di ostacoli nella navigazione marittima. Il più grande riserbo è mantenuto sulla costituzione degli apparati, lo schema elettrico sembra sconosciuto anche al personale dell’aeronautica che si limita alla sola manovra. In Sicilia sono stati effettuati due impianti: uno di grande portata a Capo Passero con un apparato costruito dalla ditta Gema di Berlino e un altro di portata minore a Catania con un apparato costruito dalla Telefunken”.
Gli impianti in Sicilia
“L’apparato grande (Gema) funziona sull’onda di m. 1,20 e lancia impulsi della durata di 5 ps ad intervalli di 1/1000 di secondo. La ricezione degli impulsi in partenza e riflessi viene fatta sullo schermo di un tubo a raggi catodici e dell’apprezzamento del tempo intercorso fra l’emissione e la ricezione si calcola la distanza dell’ostacolo riflettente. Mediante un dispositivo rifasatore è possibile leggere direttamente la distanza di 5 in 5 km fino a 150 km. La precisione nella lettura delle distanze si aggira sui 2/3 km e la precisione della direzione si aggira sui 4/5 gradi. L’apparato piccolo (Telefunken), basato sullo stesso principio di funzionamento di quello grande, consente di individuare la direzione del velivolo anche in elevazione e si adopera quindi come una stazione per il puntamento delle artiglierie antiaeree. La lettura della distanza è resa automatica senza bisogno di manovrare alcun dispositivo rifasatore. Le lunghezze d’onda dell’apparato è di 80 cm., gli impulsi hanno una durata di 3 ps e si susseguono ad intervalli di circa 1/4000 di sec. La portata massima si aggira sui 40 km. La precisione nella lettura della distanza è di 1/2 km quella della direzione e dell’inclinazione si aggirano sui 2/4 gradi”.
E le navi?
“3) Per quanto riguarda il Radio Locator inglese è da ritenersi che l’apparecchio non differisca sostanzialmente dagli apparati consimili realizzati in Germania e in Italia, e pertanto i risultati pratici conseguiti dagli inglesi devono ritenersi non molto diversi da quelli ottenuti dai tedeschi e da noi. Per quanto riguarda le applicazioni che possono interessare il Regio Esercito – concludeva la lettera firmata dal Generale di Corpo d’Armata e Ispettore Superiore De Pignier – ritengo che l’unica applicazione possibile sia quella dell’avvistamento degli aerei provenienti dal mare agli effetti della difesa del territorio dagli attacchi aerei. Per poter effettuare esperimenti in proposito si potrebbe interessare la Regia Marina per l’allestimento di un apparecchio del tipo costiero di grande potenza e nel contempo cercare di acquistare un apparecchio tedesco”. In matita blu compare solo un piccolo appunto, una domanda: “E le navi?”.
Uno strumento fondamentale
I documenti del 1941 che abbiamo riportato testimoniano di una fase cruciale per la “riscoperta” dei radar in Italia. Questa tecnologia rivoluzionaria di rilevamento e tracciamento radio avrà una notevole influenza sull’evolversi complessivo della Seconda guerra mondiale e sarà utilizzata sia dalle potenze alleate che dall’Asse. Diverse nazioni, in modo indipendente, l’avevano sviluppata e testata durante la metà degli anni ’30 e allo scoppio della guerra nel settembre 1939 sia la Gran Bretagna che la Germania avevano sistemi radar ben funzionanti. L’acronimo Radar (Radio Detection And Ranging) fu coniato dalla Marina degli Stati Uniti nel 1940. In Italia, invece, alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 solo 12 dispositivi risultavano installati a bordo delle navi da guerra. E subito dopo l’armistizio tutta la documentazione relativa alla ricerca e sviluppo del “Gufo” – e della sua versione terrestre “Folaga”, costruita da Radiomarelli – venne distrutta su ordine del Comando della Regia Marina per evitare che potesse cadere nelle mani delle truppe naziste di occupazione. Quanto a Brandimarte, che era stato promosso tenente comandante proprio grazie ai suoi successi nello sviluppo del radar, si unì al movimento di Resistenza antifascista e fu fatto prigioniero dai tedeschi. Fu ucciso il 4 giugno 1944 nell’eccidio de La Storta, a Roma.