Testi e traduzioni a cura di Massimo Castelli
Capitolo 1
Il contrastato ingresso degli anglo-americani a Roma
Dal Rapporto operativo "Pattuglia a Roma"
inviato dal Capitano della First Special Service Force, T.M. Radcliffe
al Comandante della FSSF, Robert T. Frederick
La mattina del 2 giugno 1944, mentre il 3° Rgt. della FSSF stava avanzando da Artena verso Colleferro, il Comandante Colonnello Edwin Walker ricevette una chiamata dal Gen. R. Frederick intorno alle 7.30 che riguardava una missione speciale da compiere per il Quartier Generale. Fui chiamato a rapporto dal Mag. Gen. Keyes Comandante del II° Corpo per una missione segreta di estrema importanza, dovevo portare con me una squadra speciale composta con i migliori elementi di ogni reggimento delle nostre forze Armate, scelti per la loro decisione e coraggio. Al Comando del II° Corpo, fui informato che sarei stato io a guidare la speciale pattuglia da ricognizione composta da un misto di fanteria, genieri, artiglieria, antiaerea, Mp ecc. Mi fu detto che preferivano dare il comando ad un Ufficiale della FSSF, poiché ci ritenevano i più esperti e adatti al successo della missione. Il nemico aveva combattuto strenuamente, con azioni di retroguardia per due giorni, a cavallo della Via Casilina e della via Tuscolana a guardia della strada per Roma, ed aveva sventato tutti i tentativi di sfondamento del fronte da parte delle nostre truppe per respingerli oltre i Colli Albani. Finalmente all'alba del 2 giugno 1944 essi cominciarono lentamente a ritirarsi verso nord. La nostra missione era di lasciarci alle spalle il II° Corpo, con una forza di 60 uomini, 18 jeep e 2 blindo M8, e raggiungere in ogni modo possibile Roma per poi riferire la situazione del nemico in città, se si stava ritirando o si apprestava a combattere, e allo stesso tempo, mettere sul nostro cammino dei segnali stradali ad ogni incrocio o piazza della città, per le forze sopraggiungenti. Avevamo al seguito per documentare la nostra entrata in Roma un cameramen e alcuni fotoreporter e giornalisti. Partimmo dal Q.G. del II° Corpo alle 14.00 del 3 giugno 1944, la missione era stata pianificata e preparata con accuratezza come mai in precedenza. Il nostro convoglio raggiunse Frascati passando oltre il 338° Rgt.Inf., dovevamo congiungerci con la Task Force Ellis e il 91° Squadrone da Ricognizione, che aveva assegnata la via Tuscolana per l'avanzata su Roma in quel settore del fronte. Saremmo stati in stretto contatto con questa unità, perché era munita di carri Sherman e Tank D. M10, che ci avrebbero supportato in caso di necessità negli scontri col nemico.
Nelle vicinanze di Frascati fummo informati dal C.O. del 2° Btl.338° Inf., che la Ellis Force era già partita da circa un'ora. Procedemmo e dopo 15 minuti incontrammo un lungo convoglio di veicoli e truppe fermi ai lati della via Tuscolana che erano sotto il fuoco dei cecchini nemici. Continuammo superando il convoglio mostrando il lasciapassare speciale fornitoci dal Comando del II° corpo dal Gen. Keyes, nel superare i veicoli corazzati fermi scorgemmo le facce stupite dei capi carro, che si interrogavano su dove diavolo stessimo andando. Noi procedevamo a circa 15 miglia all'ora, pensando che tutta l'area davanti ed intorno a noi fosse oramai sgombra dai nemici. All'improvviso all'altezza di Vermicino fummo fatti segno ad un intenso fuoco di Mg42 che proveniva da un gruppo di case, prontamente ci disponemmo a battaglia e ripulimmo le case, uccidendo 2 soldati e facendo 2 prigionieri, senza perdite. Ripresa la marcia dopo poco alcuni carri semoventi e fanti nemici aprirono il fuoco su di noi, immediatamente smontammo e ci disponemmo al combattimento, chiamando in soccorso i carri in retroguardia del convoglio, che ingaggiarono uno scontro con i carri Tedeschi distruggendone uno e causando la ritirata del resto. Successivamente avanzammo verso un ponte distrutto dove i Tedeschi avevano un posto di blocco con fanteria e anticarro. Andammo all'attacco con due plotoni aggirando il caposaldo costringendoli alla ritirata. Uccidemmo 2 soldati più 2 feriti e prendemmo 4 prigionieri. Un bulldozer al seguito lavorò per aprire un varco per i mezzi corazzati nel blocco stradale. Durante il combattimento tornai indietro verso il convoglio dei mezzi fermo dietro di noi e parlai con il capocarro di testa della colonna. Le sue parole furono "che diavolo ci fate qui? Siete matti o cosa?". Gli dissi che stavamo cercando di raggiungere la Ellis Force ed egli rispose: "Diavolo ma siamo noi!". Eravamo stati in testa alla punta di lancia delle Forze Armate USA lanciate verso Roma per 7 miglia senza saperlo!
Quando il passaggio fu aperto salimmo a bordo dei Tanks di testa e dei tanks Destroyer che seguivano e procedemmo verso Roma. Ben presto fummo fermati dal fuoco nemico, che ci investì di fronte e dai fianchi a causa di un contrattacco nemico con Tanks e fanteria, che causò la distruzione di uno Sherman e di un Tank D., prima che potessimo continuare la nostra missione, bloccandoci per diverse ore. Al cadere della notte eravamo ancora bloccati dal fuoco dei Tanks nemici, a sud della città, vicino una grande Torre Radio (zona Anagnina). Dopo un ultimo combattimento finalmente avanzammo verso un area vicino a degli Studi Cinematografici (Cinecittà) a sud di Roma sulla Via Tuscolana, dove la Ellis Force finalmente aveva sgomberato l'area dalle forze nemiche. Durante questi combattimenti prendemmo 10 prigionieri e uccidemmo 1 nemico, mentre le nostre perdite furono 2 Sherman e un Tank D. distrutti e 5 soldati uccisi. La nostra pattuglia subì solo un ferito lieve. Ricevute informazioni che il Combat Group Ellis (carri e fanteria) era diretto a Roma, deviando sulla nostra destra (Via Casilina) ci slanciammo in avanti per completare la nostra missione. Per tutta la mattinata un gruppo di reporter e giornalisti aveva cercato di superarci, ma ben presto desistettero a causa del fuoco dei cecchini Tedeschi. Alla periferia della città trovammo un cavalcavia pronto per essere demolito dal nemico, ma a causa della nostra rapida avanzata, non era stato fatto saltare in aria. Tagliammo i fili delle cariche ed entrammo in Roma alle 06.00 del 4 giugno 1944 passammo sotto gli archi delle Mura Aureliane (zona Mandrione-Porta Furba), dove il nostro cameraman fece alcune riprese. A questo punto cademmo sotto un intenso fuoco di armi automatiche che ci costrinse a tornare indietro sul cavalcavia. Dalle 06.15 fino alle 11.00 combattemmo insieme alla Ellis Force nell'area intorno al cavalcavia e alle 12.00 decidemmo di provare di nuovo ad attraversare le Mura. Passammo sotto l'arco per la seconda volta e procedemmo per 500 yards circa nei suburbi di Roma dove incontrammo alcuni civili Italiani armati che ci informarono che giusto dietro l'angolo della strada vi era un carro Tigre appostato. Anche i nostri esploratori confermarono la presenza del carro in agguato. Nel mentre i Tedeschi avevano realizzato che noi non eravamo in forze sufficienti e solo con armi leggere, così ci contrattaccarono con fanteria e tanks per tagliare la nostra via di fuga. Noi avevamo un muro alto 12 piedi alle nostre spalle e un fosso di fronte che era il solo nostro vantaggio. Ora ci avevano completamente tagliato fuori.
I Tedeschi si divisero in due plotoni e mossero per eliminarci ma li tenemmo a bada con le cal. 50 delle nostre blindo M8 e jeeps. Una blindo M8 si parcheggiò proprio dietro l'angolo dove era il Tigre e aspettava la sua avanzata. Sarebbe stata una lotta impari, come un'ape contro un elefante. Il Tigre avanzò di 200 piedi, poi per una ragione sconosciuta si fermò, due uomini dell'equipaggio scesero e noi subito li abbattemmo. Il rimanente equipaggio quindi aprì un fuoco infernale tutto intorno, fortunatamente noi ci trovavamo dentro un fosso e le schegge e i proiettili sibilarono sopra le nostre teste. Chiamai per radio il supporto dei carri e dei caccia carri, avrebbero potuto raggiungerci senza rischio ed aiutarci, ma essi mandarono solo 2 jeeps e 2 blindo M8. Eravamo a corto di munizioni e decidemmo che era meglio ritirarci. Avemmo parecchi scontri a fuoco ravvicinati, ma nessun membro della pattuglia fu colpito, eccetto la morte di circa 10 patrioti Italiani, che si erano uniti a noi aiutandoci a tornare indietro per strade laterali. Essi armati solo di vecchi fucili ed un solo mitra Thompson attaccarono il carro Tigre... furono tutti uccisi (in realtà i morti partigiani furono 13 come dimostra la lapide con nomi e data della morte 4 giugno 1944, posta in Piazza della Marranella-Via dell'Acqua Bullicante, ndr). Intanto la Ellis Force cercava di aggirare la forte posizione Tedesca per vie laterali, mentre un fitto tiro di mortai ci inchiodava. Una postazione di mortaio Tedesca fu eliminata con un lancio di bombe a mano da parte di patrioti Italiani. Il Tigre alle nostre spalle ci chiudeva la via di fuga, ma non poteva colpirci dove eravamo. A un certo punto sentimmo due colpi di bazooka che colpirono il Tigre ai cingoli e questo ci consentì di fuggire. Non capimmo mai perché il carro non fece subito fuoco, però fu l'occasione propizia che aspettavamo per fuggire, e mentre il carro caricava sfilammo veloci come diavoli verso il cavalcavia. Dopo che eravamo quasi tutti passati il carro si rimise in strada e sparò colpendo direttamente la jeep che mi precedeva, uccidendo tutti gli occupanti inclusi 2 Italiani e un Francese, che si era unito a noi. Prima che potesse ricaricare, le ultime due jeep passarono velocemente indenni in mezzo ad una tempesta di colpi.
Non appena tornati nelle nostre linee, riferii al Col. Ellis la disposizione e la quantità delle forze Tedesche, e quindi ci avviammo verso gli studi Cinematografici per riposare, mangiare e rifornirci. Alle 18.30 ritornammo nella stessa zona del cavalcavia e trovammo fanti dell'88° Inf. D. che insieme ai carri combattevano ininterrottamente da alcune ore. La fanteria era disorientata e confusa a causa del tiro di alcune Mg42 che interdivano loro il passo, e che avevano causato non poche perdite e problemi alla loro avanzata. Il Sgt. Micklejohn prese una nostra pattuglia e partì per annientare le posizioni Tedesche, ma questi non appena videro un deciso tentativo di eliminarli si ritirarono. I carristi avevano avuto considerevoli perdite, ma alla fine avevano scalzato i Tedeschi dopo strenui combattimenti e li avevano costretti a ritirarsi. I pochi carri Tedeschi ancora in funzione si ritirarono lasciando infine la via per Roma libera, disseminando di resti fumanti e di carcasse i luoghi degli scontri (Largo Preneste, Porta Furba, Via Casilina). Durante tutta l'azione i fotografi e i cameramen fecero molte foto e filmati e lungo il cammino sono stati posti segnali stradali per il II° Corpo. Siamo stati la prime forze Usa ad entrare in Roma, con al seguito fotografi e giornalisti. Quindi tornammo agli Studi Cinematografici per passare la notte e pianificare l'azione della mattina successiva. Il comandante della M8 che si era interposto al carro Tigre per coprire la nostra ritirata, ricevette la Silver Star, tutti i soldati uccisi ricevettero la Silver Star e tutti i componenti della pattuglia da ricognizione ricevettero la Bronze Star, per il loro coraggio nell'azione sopra riportata.
Capitolo 2
La retroguardia della ritirata tedesca
Delle truppe Tedesche che si opposero alle truppe Anglo-americane nelle principali vie di accesso a Roma dal pomeriggio del 3 giugno fino alla tarda serata del 4 giugno 1944, si conosce poco, in quanto evidentemente nella foga di sottrarsi alla cattura, tutti i rapporti e i resoconti ufficiali dei reparti utilizzati andarono perduti. Tuttavia si può essere certi che tali "Sicherunsgruppe" o gruppi di sicurezza e retroguardia, spesso condannati al sacrificio, operarono in gruppi misti di paracadutisti della 4° Div., genieri e granatieri della H. Goering Div, carri della 29° Div. P. grenadier e fanti della 65° e 362° Inf. Div. Questi disposti a circa 8-10 km dal centro a protezione delle principali vie d'accesso alla città di Roma provenienti da Sud, Prenestina, Casilina, Tuscolana, Anagnina e Appia, con posti di blocco con carri armati e fanteria disposti ai fianchi, pronti a contrattacchi locali erano supportati a volte anche da reparti contraerei Flak della Luftwaffe in funzione anticarro, che si avvalevano anche di ausiliari Italiani. Allo stesso tempo nella parte Sud-Ovest fungevano da retroguardia i reparti paracadutisti della RSI del Nembo con l'aggiunta di una Compagnia di Fallschirmjaeger della 4° Div.
A dispetto della svariata storiografia ufficiale - che racconta come di una "corsa" fra reparti USA che cercavano di superarsi, nella foga di conquistare Roma da Sud, e di blandi scontri di retroguardia - l'approccio a Roma, come ben descritto dai resoconti ufficiali della FSSF non fu una passeggiata, se si pensa che poche truppe, ma ben decise nel loro compito, con pochi cannoni anticarro e pochissimi carri, tennero testa per 24 ore a tutta la punta di lancia del II° Corpo USA. Ci sono invece testimonianze di accaniti combattimenti, anche strada per strada, in tutto il quadrante (Porta Furba, Centocelle, Acqua Bullicante e largo Preneste).
Capitolo 3
Il fronte sul fiume Aniene e l'ordine di far saltare i ponti
Traduzione dal libro "Battle for the Boot" di Franz Kourowsky
Le truppe Tedesche della Divisione H. Goering, oramai battute, dopo lo sfondamento Americano sul Monte Artemisio e Velletri, su ordine del Gen. Schamlz ricevettero l'ordine di ripiegare e di stabilire una nuova linea difensiva sulla riva destra del fiume Aniene, stabilendo un nuovo posto comando a Mentana alle ore 18.00 del 3 giugno 1944. La situazione era stabilizzata quando la 15° Pzgr. Div. si mosse vicino all'ala sinistra della Divisione verso la sera del 4 giugno. La divisione era situata nella seguente linea di difesa: ala destra a ridosso del fiume Tevere (nelle vicinanze dell'aereoporto dell'Urbe), e nella immediata periferia Nord da Sacrofano-Settecamini-Lunghezza. La maggiore concentrazione di forze era sull'ala destra. Anche gli ultimi carri armati riamasti utilizzabili furono diretti sull'ala destra dello schieramento. Un ordine del Comando di Corpo d'Armata ricevuto nel pomeriggio del 4 giugno, diceva che la divisione (Herman Goering) doveva ripiegare la mattina del 5 giugno verso una nuova linea di difesa dal Tevere altezza Monterotondo fino a Mentana e Sant'Angelo Romano. La concentrazione delle truppe Alleate dentro e intorno Roma e la loro disorganizzazione diedero al Comando Tedesco il tempo di stabilire una nuova linea di difesa a Nord della città. A tale proposito l'ordine fu di far saltare tutti i ponti stradali e ferroviari a Nord di Roma. Tale ordine fu eseguito in modo capillare aumentando le difficoltà d'inseguimento delle esauste truppe Americane. La missione dei battaglioni guastatori della H. Goering era "impegnare le forze nemiche con una serie di azioni ritardatici con tutte le forze disponibili". Ci furono diversi scontri con alcune formazioni di civili Italiani armati (partigiani) nella zona di Monte Sacro (il Ponte Tazio fu comunque fatto saltare ma non crollò completamente), una zona periferica a Nord di Roma, durante una opera di demolizione di un ponte già prestabilita. Il plotone del battaglione del Genio Pionieri sotto il comando del Tenente Osterhaus fu tratto in salvo da una situazione critica da un immediato contrattacco.
[ Qui trovate il brano originale di Kurowski ]
Capitolo 4
La Liberazione completa di Roma
Brano tratto dal libro "Obiettivo Roma" di Dan Kurzman
Guidato dai partigiani, il grosso delle forze Alleate cominciò ad entrare nella vera e propria città di Roma nel tardo pomeriggio del 4 giugno dopo aspri combattimenti con retroguardie tedesche lungo la via Casilina all'altezza del cartello stradale di Roma (la stazione ferroviaria di Centocelle). Infine gli uomini del generale Frederick (FSSF) sfondarono il blocco, lasciando diversi carri armati nemici e propri in fiamme agli incroci della strada che portava al cuore di Roma. Superata Porta San Giovanni si diressero immediatamente ai ponti del settore loro affidato per conquistarli prima che venissero fatti saltare in aria, ma più che dai tedeschi essi furono ritardati dalle folle di Italiani festanti. Verso le 18.30, quando il Col Howze della 1° Div. Corazzata Usa penetrò nel centro della città a bordo della propria jeep, le strade erano ancora deserte e le finestre apparivano tutte sbarrate. Poi un grido echeggiò sonoro: "Americani!". Immediatamente centinaia di persone uscirono a precipizio dalle rispettive case e con esclamazioni di gioia si gettarono su Howze e i suoi soldati, afferrando mani e braccia e gambe e quasi trascinando fuori gli americani dalle jeep e dai carri armati. Benché la prima divisione Corazzata avesse sbaragliato interi battaglioni nemici non era preparata a quell'assalto da parte di civili frenetici, i quali si resero conto ad un tratto che i tedeschi se n'erano andati a che non c'era pericolo a mostrarsi contenti.
Gli uomini di Howze, d'altra parte, non avvertivano per il momento un grande impulso di cercare battaglia mentre si trovavano in paradiso. Evidentemente molti si sentivano meravigliosamente buoni, generosi e importanti e parecchi ne approfittarono per ristorarsi nelle braccia delle generose donne romane, dopo aver passato l'inferno nelle ultime due settimane. Infine un ufficiale, ricordandosi che la guerra non era finita, estrasse la pistola per scostare la gente in modo da poter trovare su una pianta della città quei maledetti ponti. Un piccolo gruppo di genieri e di soldati del 1° reparto servizi speciali, sotto il personale comando del generale Frederick si sottrasse alla stretta dei romani festanti e su alcune jeep sfrecciò lungo le buie e anguste strade, arrivando a un ponte mentre i tedeschi di guardia si davano alla fuga. Mentre i soldati ispezionavano il ponte alla ricerca di cariche esplosive da disattivare, scorsero alcune ombre che sbucavano da una strada laterale, al loro intimare "Alt!", seguì una raffica di colpi, uno degli uomini di Frederick cadde morto e il generale e altri due furono feriti. I superstiti si misero a loro volta a sparare, accorgendosi solo dopo diversi minuti di sparatoria che erano dei loro colleghi della 88° divisione di fanteria.
Nella prima mattinata del 5 giugno un certo numero di soldati tedeschi stavano ancora difendendo un importante ponte ferroviario sulla via Salaria, al limitare settentrionale di Roma, dopo aver protetto la ritirata degli ultimi camerati rimasti in città. (Un battaglione della 4° div. parà vagò per tutta la notte in cerca di un ponte per passare dalla parte opposta del Tevere, attraversando infine un ponte ferroviario a piedi all'alba del 5 giugno - il ponte nei pressi dei campi dell'Acqua Acetosa). La loro chiara intenzione era di far saltare il ponte, ma si trovarono sotto un violento attacco di partigiani decisi a impedirglielo. Udito il rumore del combattimento dalla propria casa che sorgeva nei pressi, il dodicenne Ugo Forno corse alla capanna di un contadino, situata vicino al ponte: il contadino, partigiano anche lui, gli diede un fucile, ed entrambi si misero a sparare ai tedeschi. Poco dopo i tedeschi risposero con bombe di mortaio, tre delle quali esplosero vicino alla capanna. Il contadino rimase colpito, e Ugo si ritrovò a difendere tutto da solo un intero fianco del fronte di battaglia. Continuò a sparare un proiettile dopo l'altro, impedendo ai tedeschi di accostarsi al ponte, ma infine una bomba fece saltare in aria la capanna. Ben presto il combattimento cessò, e numerosi partigiani
Sopraggiunsero recando una lacera bandiera italiana legata ad un manico di scopa. Ugo fissò la bandiera e mormorò: "Viva l'Italia!". Poi morì senza sapere che il suo intenso fuoco aveva tenuto lontani dal ponte i soldati tedeschi per il tempo sufficiente a permettere ad altri partigiani di scacciarli prima che potessero demolirlo e di conseguenza ritardare magari per ore l'avanzata degli Alleati.